Eluana e Monsignor Casale......


Visto che leggiamo,vediamo e sentiamo sbandierare ai quattro venti (da anticlericali o meno) le affermazioni fatte da Monsignor Giuseppe Casale il 14 novembre dello scorso anno,per onore di cronaca le riportiamo,ricordando che nella Chiesa Cattolica ogni prelato può liberamente esprimere la propria opinione senza essere messo al rogo..o inviato in Siberia....Desideriamo altresi' rendere noto che Mons. Casale non é nuovo ad esprimere opinioni contrarie a quelle ufficiali della Chiesa....anzi crediamo,non ne conosciamo il motivo..... gli piaccia molto.

Aggiungiamo inoltre,sempre per dovere di cronaca, che la Congregazione per la Dottrina della Fede, in risposta a un quesito dei vescovi americani, ribadisce il no all’eutanasia anche per i malati «in stato vegetativo permanente». A questi sono comunque dovute «le cure ordinarie e proporzionate, che comprendono, in linea di principio, la somministrazione di acqua e cibo, anche per vie artificiali

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Monsignor Giuseppe Casale -
Carità, comprensione, pietas. Sono parole che ripete più e più volte pensando a Eluana. Monsignor Giuseppe Casale, classe 1923, ex arcivescovo di Foggia è una voce fuori dal coro che, con coraggio, preferisce arrestarsi davanti al grande mistero della morte. Da pastore lui si rifiuta di dare giudizi, di emettere condanne. «Di fronte a questo grande mistero dovremmo avere tutti più rispetto e attenzione. Soprattutto lasciare la possibilità agli interessati di decidere in modo chiaro e sereno».
Dunque lei è favorevole al testamento biologico? «Sì senza dubbio. Io sono per una vita piena. Nel caso di persone costrette allo stato vegetativo permanente, dico solo che ci si accanisce sulla vita. Eluana vive perché alimentata artificialmente. La sua è una vita ridotta al minimo, non è una vita piena, è vita vegetativa». Ma è sempre vita. «Mi interrogo e mi chiedo: davanti a casi simili si può parlare di vita umana, intesa come esistenza piena di relazioni? Noi sappiamo che esistono ammalati gravi, gravissimi, che al contrario possono interagire, farsi ascoltare, essere toccati, reagire, amare, avere sensibilità: ecco, questa per me è ancora vita, per il resto si può solo parlare di stato vegetativo. Posso capire, accostandomi con pietas cristiana, la decisione di un padre davanti ad una figlia in quello stato». Lei contesta l’accanimento terapeutico? «Io osservo solo che tutto questo chiasso, la solita battaglia tra guelfi e ghibellini, impedisce di fatto una riflessione serena, che in Italia sarebbe importante. E invece si litiga e alla fine, purtroppo, si perde di vista un aspetto importante: che l’alimentazione artificiale, come quella somministrata dai medici ai malati in stato vegetativo permanente, è una forma di accanimento, se la si toglie provoca la morte. Pertanto, forse, non si può più parlare di eutanasia. Penso che bisognerebbe definire al più presto il problema del testamento biologico, contenente le ultime volontà di vita». Cosa direbbe al signor Englaro, se lo avesse d'avanti? «Lo abbraccerei, gli farei arrivare la partecipazione con la quale, a distanza, l’ho accompagnato spiritualmente in questo calvario, da quando è iniziata la malattia della ragazza, sino al dramma successivo. Il mio augurio è che possano arrivare la pace e la serenità, sia per Eluana che per lui. Pregherò per loro». Staccare l’alimentazione e l’idratazione non è eutanasia? «In questo caso alimentazione e idratazione si possono parificare ad un accanimento terapeutico. E poi comunque, quando c’è un consenso alla base. Voglio dire che il padre sapeva bene che cosa avrebbe voluto la figlia medesima». Lei ricorrerebbe a disposizioni ben precise nel caso dovesse trovarsi in condizioni analoghe a quelle di Eluana? «Certamente. Per una persona che crede, e io credo in Dio onnipotente, la fine della vita non è “la fine” ma solo il passare da una condizione all’altra. Per un cristiano non è la morte totale. Se mi ritrovassi in una situazione analoga, non vorrei che mi alimentassero artificialmente con le macchine. Noi continuiamo a fare battaglie per la vita, come se la morte terrena fosse la fine della persona, e invece si schiude una esistenza nuova». Decisamente controcorrente. «Credo nell’immortalità dell’anima e nella resurrezione dei corpi. Non so cosa il Signore mi riserverà, ma non vorrei nessun accanimento. Spererei solo di avere accanto a me persone care, cui affidare parole di speranza, nella certezza che ci si rivedrà nel Signore. Noi continuiamo a fare un errore grossolano...». Cioè? «Vedere la morte e la malattia grave con l’occhio della tecnica, mentre dovremmo accostarci al nostro spegnimento come un passaggio, non dunque come un pericolo, una mannaia».

Per Agestampa - aenne blog - Filippo Recalcati


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